Giovani testimoni nel mondo – riflessione tematica
Giovani testimoni nel mondo
Diritto all’informazione e dialogo interculturale
di Chiara Pellicci, giornalista di Popoli e missione e Il ponte d’oro
“È la lingua che fa uguali” ripeteva ossessivamente don Lorenzo Milani, sacerdote del secondo dopoguerra nelle periferie della diocesi di Firenze, conosciuto da tutti come il ‘priore di Barbiana’. E con questa frase intendeva affermare con forza che è solo il possesso vero e consapevole della parola che fa di ognuno un uomo o una donna a pieno titolo. Effettivamente – come scrivono i vescovi della Toscana nella loro lettera pastorale su Comunicazione e formazione a 50 anni dalla morte di don Lorenzo Milani – non si può “dimenticare il fascino della parola che è tra i principali strumenti che rendono possibile la comunicazione umana”. Senza parola, infatti, cioè senza comunicazione e informazione, non c’è dignità. Questo insegnamento di don Milani, che fece di tutto per restituire la parola ai poveri (i suoi poveri erano i figli analfabeti dei contadini sfruttati dalla mezzadria di allora), è più attuale che mai.
Nel 2018 i poveri a cui va restituita la parola sono le masse del Sud del mondo, ancora oggi oppresso e manovrato ad uso e consumo delle grandi potenze mondiali per garantire il benessere dei Paesi ricchi perpetrando il malessere di quelli impoveriti. I poveri a cui va restituita la parola sono coloro che vivono le diseguaglianze tra chi ha troppo e chi non ha abbastanza, coloro che non possono godere di tutte le opportunità e che non hanno accesso ad una comunicazione libera e ad un’informazione senza vincoli, capace di diffondere una migliore conoscenza delle complessità dei fenomeni e di svelare gli interessi che vi si nascondono. Solo un dato per fotografare le disuguaglianze in questo ambito: nel 2017 la popolazione dell’Africa subsahariana abbonata ai servizi di connettività mobile, indispensabile per l’accesso al web, era il 44% del totale (meno della metà, quindi).
Ma trattando di comunicazione e informazione non si può non parlare di social. Anche questi, stando al dato appena evidenziato, non sono alla portata di tutti. Eppure i giovani che ne possono disporre non riescono a farne a meno, tanto che spesso privilegiano – di fatto – la comunicazione sul web rispetto a quella vis à vis. Con tutte le conseguenze che ne derivano. Per esempio: la profonda trasformazione del linguaggio, davanti alla quale non possiamo rimanere indifferenti. Soprattutto quando le mutazioni sdoganano espressioni violente, ingannevoli, sempre più diffuse sul web. Parole incendiarie, su cui – tramite i social – si rovesciano taniche di benzina, pronte ad esplodere sotto gli occhi i tutti.
Fake news e loro influenza sul popolo di internet, manipolazioni di notizie, credito incondizionato all’informazione disintermediata (cioè che rimuove gli intermediari, ovvero giornalisti ed editori), definizione dell’agenda setting (ossia la selezione delle questioni da porre all’attenzione dell’opinione pubblica) sono fenomeni che non possono non interpellarci. Interessante uno studio scientifico internazionale al quale ha partecipato anche Walter Quattrociocchi, un ricercatore italiano che ha dimostrato in termini quantitativi il ‘paradosso della cospirazione’, ovvero (in soldoni): pensi che l’informazione mainstream ti voglia manipolare; cerchi, quindi, solo informazioni disintermediate, ma di fatto diventi manipolabile da tutto quello che non è mainstream. Dinamica che sta alla base della diffusione delle bufale sul web. Studiando siti di informazione disintermediata, la ricerca approfondisce lo studio dei BIG Data, le reti complesse e le relazioni tra i vari nodi (cioè tra gli utenti delle pagine) e dimostra come la velocità odierna della comunicazione ed il fenomeno della disintermediazione abbiano amplificato a dismisura questa dinamica.
C’è un altro aspetto molto importante che la comunicazione assicura: il dialogo interculturale, che avvicina le diversità, viste non come problema ma come risorsa, attorno al riconoscimento di valori comuni che non cancellano ma valorizzano le identità. Anche qui, l’informazione gioca un ruolo fondamentale. Un esempio eloquente: secondo l’Osservatorio di Pavia, a settembre 2017 la questione dell’immigrazione ha occupato il 10% della copertura giornalistica (circa l’8% in più rispetto al 2016) tanto che gli italiani citano l’immigrazione fra i problemi più urgenti, anche grazie al contributo dell’ampia copertura mediatica riservata agli sbarchi nel Mediterraneo, che ha concorso ad aumentare l’insicurezza percepita. Con questa premessa si capisce perché i dati raccolti nel luglio scorso da The Social Change Initiative, un’analisi svolta sull’opinione pubblica in tutti i Paesi europei in merito ai migranti, rivelano che solo il 18% degli italiani considera positivo l’impatto dell’immigrazione, mentre il 57% lo reputa globalmente negativo. Inoltre solo il 16% è ottimista nel guardare al fenomeno e crede in valori aperti, accettando di buon grado rifugiati e immigrazione e mostrandosi socievole nei confronti di un dialogo interculturale.
Infine la comunicazione è uno strumento indispensabile anche per l’Annuncio. Quello del Vangelo, sì. Quello che Gesù risorto, prima della sua Ascensione al cielo, affida ai discepoli mentre li invia fino agli estremi confini della terra. Quello che senza testimonianza non ha presa, perché le parole appaiono vuote se separate dalla coerenza della vita.