Giovani cura del mondo – riflessione tematica
Giovani cura del mondo
Sanità, servizi pubblici essenziali, dignità
di Antonio Cavallaro, communication manager presso la Casa Editrice Rubbettino
“Io sono il Signore, colui che ti guarisce” (Es 15,26).
È con queste parole che Dio si presenta al suo popolo Israele dopo la fortunosa fuga dall’Egitto e il passaggio trionfale del Mar Rosso.
Nel testo biblico la malattia ritorna spesso come condizione che priva l’uomo della sua dignità, fino quasi a tenerlo lontano da Dio. Giobbe, descritto come campione di pazienza, sopporta con rassegnazione molte sventure, ma leva forte il suo grido a Dio quando si trova ad essere colpito da “una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo” (Gb 2,7). È in quel momento che prova il forte senso di ingiustizia che la sofferenza si porta dietro e che grida forte al Signore la sua innocenza e il suo smarrimento.
Gesù, stesso, nell’istruire i discepoli, dà loro questo mandato “predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni” (Mt 10,8). D’altro canto i “segni” che Gesù compie durante la sua predicazione sono quasi sempre guarigioni, guarigioni che “riabilitano” gli individui che le ricevono (si pensi alla storia del cieco nato, del paralitico della piscina di Betzaeta, dell’emorroissa ecc.). La salute del corpo e dello spirito non è solo assenza di dolore ma è una condizione che ci consente di vivere pienamente il mondo che ci circonda.
Qualcuno osserverà che ciò avveniva a causa della peculiare concezione della malattia che si aveva nel mondo ebraico; vista spesso come castigo e vissuta dunque con vergogna e come stigma sociale, ma è poi così diversa la situazione di un ammalato all’interno della nostra società occidentale che ha fatto del “benessere” e dell’eterna giovinezza i suoi miti?
È forse più semplice oggi convivere con una malattia debilitante? È forse facile essere accettati se una qualche sindrome genetica rende il nostro volto così lontano dai canoni della bellezza? È davvero così semplice abitare un mondo in cui tutto si basa sul vedere se siamo sprovvisti della luce degli occhi?
“Tutto ciò che abbiamo di buono e di perfetto viene dall’alto: è un dono di Dio, creatore delle luci celesti. E Dio non cambia e non produce tenebre.” (Gc 1,17) Così la malattia non è una prova a cui Dio ci chiama. Sostenere che Dio in qualche modo “affida” delle croci a delle persone, a dei bambini innocenti soprattutto è il peggior peccato di blasfemia che si possa commettere. Dio chiama alla vita, alla sua pienezza e abbondanza anche se “tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.” (Rm 8, 22-23).
Il comando del Signore “Guarite i malati” non smette di essere valido e di interrogare le coscienze dei cristiani. Non è detto nel testo però che la guarigione debba avvenire necessariamente in maniera prodigiosa e non attraverso gli strumenti ordinari che oggi coincidono con la scienza medica.
Se, come abbiamo avuto modo di ripetere in questo ampio preambolo, la malattia, al pari della fame e della sete, è una di quelle condizioni fisiche che finiscono per condizionare l’intera esistenza dell’uomo e finanche ad abbrutirne l’animo (quanti reati vengono commessi per fame? quante persone sono disposte a squallidi commerci di organi pur di guarire da una grave malattia?) è altrettanto vero che l’offrire le cure mediche necessarie a chi ne ha bisogno deve essere, per un cristiano, un imperativo morale categorico al pari di quello del dare da mangiare e da bere a chi muore di fame e di sete. Peccato che anche in questo campo, così importante per la persona e per la sua dignità di essere umano, si replichino le classiche disparità che esistono tra zone del mondo privilegiate e zone del mondo meno privilegiate.
Se ahimè non sorprende però che vi siano grosse differenze nell’accesso alle cure tra Nord e Sud del Mondo, sorprenderà credo che tali disparità esistano, seppure in forme meno drammatiche ma non per questo meno crudeli, persino tra il Nord e il Sud della nostra nazione; disparità in parte dovute a politiche nazionali sbagliate e in parte dovute a una gestione clientelare e poco attenta alle dinamiche economiche (specie in periodi di vacche grasse) delle politiche sanitarie locali.
Accade così che a sud di Roma siano del tutto assenti strutture per la cura di molte malattie, specie di malattie in età pediatrica. Cosa accade dunque se un bambino calabrese o lucano si ammala o nasce ammalato? Non potrà essere curato nella sua città o nella sua regione. La famiglia sarà costretta a continui viaggi della speranza nelle strutture del nord o della capitale. Questo tuttavia può avvenire se la famiglia ha la possibilità economica per affrontare viaggi e soggiorni fuori regione. E se le cose non stessero in questo modo? Le famiglie si trovano davanti a due alternative: indebitarsi o rinunciare alle cure dei propri figli. Cosa c’è di più inumano e di più degradante del non poter offrire le cure necessarie al proprio figlio?
Come cristiani non abbiamo forse il dovere di porci questo interrogativo? Padre Pio, con le offerte dei fedeli, pensò bene di costruire un grande ospedale che è oggi punto di riferimento di quanti vivono tra Puglia, Molise e Campania.
Perché non avviene altrettanto nelle altre regioni del Sud dove comunque si continuano a costruire santuari e cattedrali? Non è forse il corpo dell’uomo il santuario più prezioso che Dio si degna di abitare?