Giovani viandanti nel mondo – riflessione tematica

Giovani viandanti nel mondo

Conflitti dimenticati, mobilità umana, diversità culturale, dialogo interreligioso, buona informazione

di don Sévère Boukaka, Diocesi di Arezzo – Cortona – Sansepolcro

La mobilità umana è un fenomeno che da sempre accompagna la storia degli uomini e che ha profondamente influito, come dimostrano alcune pagine della storia, sulla modernizzazione delle società occidentali e sulla nascita delle comunità statuali.

Il concetto di global village che dobbiamo a Marshall Mc Luhan e attraverso il quale il sociologo canadese evocava l’immagine di un contatto immediato e continuo con il mondo intero, dalla regione più vicina a quella più lontana grazie a certe scoperte scientifiche nell’ambito della comunicazione, dalla diffusione della stampa alla trasmissione di segnali, si è verificato da anni come chiave di comprensione del mondo in cui viviamo oggi divenuto un villaggio per gli spostamenti ed incontri tra i popoli e loro culture. Negli ultimi anni ancora di più il fenomeno della migrazione si è imposto come fattore dominante di questo villaggio globale: telegiornali, quotidiani, discorsi politici, tweet, non parlano d’altro che della “crisi migratoria” che sta travolgendo l’Europa, preannunciando il collasso e la fine dello stile di vita che conosciamo, conduciamo e amiamo. La questione migratoria, dominando le prime pagine dei giornali, ha determinato l’agenda dei governi e i conflitti tra di essi, ha influenzato la legislazione e prodotto nuove forze politiche;  addirittura sta cambiando il paesaggio economico, sociale e culturale fino ad istigare la costruzione di muri di filo spinato e perfino creando l’occasione di sospendere gli accordi di Schengen sulla mobilità umana. Ciò che generano le notizie provenienti dalla questione migratoria è la paura, come scriveva Zygmunt Bauman: “il demone più sinistro tra quelli che si annidano nelle società aperte del nostro tempo” e il “panico morale” o il timore, diffuso tra moltissime persone, che diventa un male che minaccia il benessere della società. Il volto dell’altro definito da Emmanuel Levinas come “alterità e traccia dell’infinito”, è diventato una pura minaccia quando si tratta dello straniero immigrato, clandestino o rifugiato perché assimilato al terrorista o  a chi “è venuto a rubare il nostro lavoro” oppure  a chi “non rispetta le nostre leggi” oppure ancora a chi usufruisce, a scapito di chi lavora o di chi ha lavorato tutta la sua vita, dei favori e privilegi dello Stato.  Mario Morcellini parlava di una “cinica campagna di marketing antisociale finalizzata a una sconvolgente guerra tra poveri”. In altre parole: informazioni false, in tutto o in parte, diffuse a scopo propagandistico. La nostra breve riflessione vuole offrire alcuni spunti che potrebbero aiutare ad affrontare la questione delle migrazioni di massa con realismo e ottimismo al fine di prospettare  possibili soluzioni e orientare la società verso nuove  prospettive.

 Cause delle migrazioni di massa: quello che non dicono sempre i telegiornali

Le migrazioni di massa non sono un fenomeno nuovo: hanno accompagnato tutta l’era moderna fin dai suoi albori. I fattori che provocano gli attuali movimenti di massa sono variegati sia nei luoghi di origine che nei luoghi d’arrivo.

In effetti le migrazioni nascono da due necessità contrapposte. Per i motivi più svariati, in un luogo dove non ci sono risorse sufficienti per permettere agli uomini di soddisfare le loro necessità e realizzare i loro sogni. Al contrario in un altro luogo, vicino o lontano, dove le opportunità sono sovrabbondanti rispetto agli uomini. Così come attratti da una calamita, se i costi di trasferimento non sono proibitivi, un gruppo di abitanti del luogo di partenza si trasferisce nel luogo d’arrivo. Nelle zone sviluppate del pianeta, quelle in cui cercano rifugio sia i migranti economici sia i richiedenti asilo, il mondo del business accoglie con favore l’arrivo di manodopera a buon mercato e di “risorse” redditizie: così vengono considerati  i migranti: lavoratori stranieri a basso costo. D’altro avviso è la maggioranza della popolazione che, assillata dalla fragilità della vita e dalla precarietà della posizione sociale attuale e futura, vede nel fenomeno migratorio una maggiore concorrenza sul mercato del lavoro, maggiore incertezza per la propria sorte e minori speranze che le cose migliorino.

Negli ultimi anni si è assistito ad un enorme aumento del numero di profughi e richiedenti asilo e quindi del totale dei migranti che bussano alla porta dell’Europa: aumento dovuto al moltiplicarsi degli Stati “falliti” o in via di fallimento, che in pratica diventano territori senza Stato e senza legge, teatro d’interminabili guerre e imprese di banditi che spadroneggiano senza sosta e nel disprezzo di qualsiasi regola. Tutto questo è, in larga misura, il danno collaterale provocato dalle disastrose spedizioni militari in Afghanistan, in Iraq, in Libia …. che hanno sostituito ai precedenti regimi dittatoriali uno scenario di caos senza fine e un’orgia di violenza spalleggiata e fomentata da un mercato globale delle armi privo di qualsiasi controllo e alimentata da un’industria bellica assetata di profitti, con il sostegno tacito di governi disposti a tutto per aumentare il PIL. Si assiste dunque ad una moltitudine di giovani costretti dalla violenza, dalle dittature, a lasciare le proprie case e tutto ciò a cui tengono. Tante persone si sono così aggiunte al flusso dei cosiddetti “migranti economici”. Tale flusso incessante è trainato dal desiderio terribilmente umano di spostarsi da luoghi impoveriti e senza prospettiva verso terre dei sogni traboccanti di opportunità. E’ in questa scia che si comprende tutta una corrente interminabile di persone che cercano un’occasione per vivere con dignità.

Prospettare una società interculturale e pacifica attraverso i processi migratori

La globalizzazione economica e le migrazioni coincidono per l’effetto non intenzionale che hanno avuto di abbattere le distanze del tempo e dello spazio rendendo i popoli della terra più vicini. Tuttavia un mercato non crea una società. Quello che sta alla base di una società, come afferma Jean Tardif, è piuttosto: “la capacità di produrre e di diffondere i simboli”. Prospettare una società interculturale, dove le culture si compenetrano, significa studiare il rapporto intrinseco che può esistere tra queste e le interazioni possibili tra i popoli. Il mondo è diventato una rete di relazioni sociali. La presenza di un numero sempre crescente di immigrati in Europa non deve essere considerato come un fatto quantitativo, con svariate conseguenze sociali, economiche e culturali. Differenti livelli quantitativi nei vari indicatori non producono solo un cambiamento quantitativo. Anche perché gli immigrati non arrivano culturalmente o religiosamente “nudi”, ma portano con sé, anche nel loro bagaglio, visioni del mondo, tradizioni, credenze, pratiche, valori, sistemi morali, immagini e simboli. Sarebbe dunque opportuno che la loro accoglienza si aprisse a nuovi processi di integrazione o di interrelazione per poter giungere ad un cambiamento qualitativo, cioè ad un nuovo tipo di società dove la diversità diventa mezzo di arricchimento e di collaborazione nell’impegno comune a favore della giustizia, della pace e dello sviluppo integrale.

In sintesi, viviamo in un contesto globale dove non c’è più un popolo con una propria cultura e una propria religione che abita in un determinato territorio; ma assistiamo ad un progressivo prodursi di una realtà molto più articolata, in cui in un medesimo territorio si mischiano popoli, religioni, etnie, culture. L’orizzonte storico in cui ci collochiamo oggi è quello di grandi cambiamenti epocali sul piano culturale, economico, sociale e dove si collocano anche le crescenti mobilità umane, nelle varie direzioni. È vero che si deve guardare alla questione migratoria con grande realismo ma è anche necessario cogliere opportunità e speranze di cui i giovani viandanti del mondo sono portatori. Considerato quanto la globalizzazione ci ha resi vicini, adesso sarebbe  necessario che ci  impegnassimo  affinché ci renda anche fratelli, e in questo senso ci fa da maestro Z. Bauman con la sua ottica secondo la quale: “noi siamo un solo pianeta, una sola umanità”. Qualsiasi siano gli ostacoli, e qualsiasi sia la loro apparente enormità, la conoscenza reciproca e la fusione di orizzonti rimangono la via maestra per arrivare alla convivenza pacifica e vantaggiosa per tutti, collaborativa e solidale. Non ci sono alternative praticabili. La “crisi migratoria” ci rivela l’attuale stato del mondo, il destino che abbiamo in comune.